Concordo con Alessio. Può essere interessante notare che, a differenza di lingue "coloniali" come l'inglese e il francese, l'italiano è poverissimo di termini xenofobi (direi che, a parte il significato divenuto "politicamente scorretto" di "negro" o "zingaro" - prima si trattava dei soli termini disponibili, assolutamente neutri, il solo termine che mi viene in mente è "crucco", diffusosi durante la prima guerra mondiale). Interessante notare che, invece, l'italiano (o meglio gli "italiani regionali", i dialetti) è ricco di termini omofobi, specchio e retaggio di un paese in larga parte cattolico, familista e conservatore.
Le ragioni del (relativo, molto relativo...) poco razzismo degli italiani sono oggettive, e nulla hanno a che fare con una presunta bontà d'animo, una superiorità morale degli "italiani brava gente": 1) per secoli l'Italia è stata terra di conquista o compunque di emigrazione (lo straniero, insomma, era un padrone, non un servo); il colonialismo italiano è stato (relativamente) poca cosa, e, quanto all'emigrazione, le cose sono cambiate negli ultimi decenni del Novecento, ma adesso il saldo migratorio è tornato negativo; 2) contrapporsi a uno straniero presuppone un'identità nazionale unitaria e forte, che gli italiani in generale non hanno; è interessante notare come invece in molti dialetti italiani esistano termini xenofobi per designare gli abitanti di paesi e città vicine, ma storicamente rivali, ostili, temute e/o disprezzate: il campanilismo, insomma, prevale sul nazionalismo, e ciò si riflette sulla lingua.